Un racconto inedito di Claudio Vignozzi
La prima volta che Brad incontrò Bud ed Erik fu a scuola, davanti al giardino dove tutti gli studenti si riunivano dopo mangiato: erano tutti dei sedicenni sbarbati e con i capelli lunghi e biondi, vestiti con magliette colorate e scarpe da basket alte. Erik portava una ridicola bandana in testa e una canottiera da basket. In quel periodo era molto più magro, non si avvicinava minimamente ai cento e passa chili che raggiunse in età adulta.
Era stato Miguel a farli conoscere, visto che entrambi stavano cercando un chitarrista per mettere su una band punk-rock e che Brad era rimasto senza nessuno con cui suonare. Tutti e tre concentrati a studiarsi, a porsi domande per verificare il loro grado di preparazione su musica e strumenti. Bud era sicuramente il meno socievole dei tre e il meno interessato alle chiacchiere. Amava suonare la batteria come niente al mondo, avrebbe voluto suonare anche durante i pasti, se fosse stato possibile. I tre si diedero appuntamento nel garage di Erik, per la settimana successiva, pronti a mettere su qualche pezzo.
Bud e Miguel, che avrebbero dovuto curare la produzione, entrarono in contatto con due ragazzi dell’università che stavano producendo dei video di surf-snow-skate, da distribuire in California e da proporre poi a qualche major. Le colonne sonore per “Video Estremi” erano molto in voga in quel periodo e molte band si cimentavano in lunghi pezzi strumentali ska-punk da proporre in giro.
Erik non aveva mai tempo per interessarsi alla composizione, sempre impegnato con i suoi due cani e la sua fiammante Harley rossa, ricavata artigianalmente dalle tre moto del padre e dei fratelli.
In quel periodo Brad non faceva altro che suonare e surfare. Era cotto di una ragazza, Lucy, di due anni più grande, che gli stava regalando la storia più entusiasmante della sua vita. Lei era più grande, conosceva i segreti. Brad passava molto tempo con lei, nella casa davanti alla spiaggia, cercando di buttare giù qualche pezzo e fumando della buona erba insieme a lei.
Spesso si ritrovavano completamente fatti e con un notevole grado di creatività: Brad suonava e Lucy canticchiava dei motivi su quelle note, veniva tutto molto bene, era tutto frutto di quella leggerezza, del mare, di quelle stelle che sembravano accarezzare il mare e di quelle note che sembravano nate per far star bene la gente. Brad amava in particolare alcuni accordi: il re e il sol, maggiore o minore che fossero, erano le note giuste per intonare la sua voce.
Quando sbagliava qualche accordo, Lucy scoppiava a ridere, lo baciava e lo rincuorava dicendogli di non preoccuparsi e di continuare a suonare. Brad ricominciava più forte, con più energia fino alla mattina quando si ritrovavano abbracciati ed infreddoliti, dopo aver passato tutta la notte in riva al mare.
Brad non andava quasi mai a scuola, non amava studiare, la sua vita era la musica, la sua chitarra e Lou dog, un piccolo bastardino con delle piccole macchie nere sul muso, che Lucy aveva trovato proprio vicino alla spiaggia. Lou dog era una cane invadente, invadente e pieno d’energia e d’amore per il suo padrone.
Jacob nacque nel periodo più sbagliato per Brad e Lucy: Brad era diventato molto amico di Shan Wilson, l’ex di Lucy, dedito ad alcuni giri molto strani. Shan andava con degli amici in Messico trasportati da piccoli aerei e tornava pieno di soldi. I soldi li metteva dentro delle sacche da surf e ogni volta che tornava a casa organizzava delle feste piene di gente balorda. Lucy non sopportava quella storia e dopo alcune litigate decise di lasciare Brad.
La sera in cui venne alla luce Jacob, Brad entrò dentro l’ospedale completamente fatto: prese in mano il suo bambino e per poco non lo fece cadere per terra. Bud ed Erik cominciarono a guardarsi sapendo che il loro amico aveva toccato il fondo, che quel bambino era nato nel momento più strano e dal padre meno adatto, meno responsabile del mondo.
Da quel momento Jacob divenne l’unica ragione di vita di Brad, che passava la maggior parte del tempo a suonare in casa davanti alla sua piccola creatura. I rapporti con Lucy si erano raffreddati, quasi si evitavano e spesso la poverina rimaneva a dormire dalla madre, in attesa che Brad si potesse disintossicare.
Ogni fine settimana i tre suonavano nei locali più strani, ma ancora non si erano dati un nome definitivo. La band si chiamava diversamente ogni sera che suonavano in un locale diverso: The Mecanics, Secret Hate o Skunk stuff.
Brad un giorno decise di tatuarsi il braccio sinistro, quello privo di altri disegni. Era ubriaco ed il tatuatore faceva fatica a finire il lavoro visto che si muoveva in continuazione. Alla fine, Brad guardò il suo nuovo tatuaggio e disse”Sublime, questo tatuaggio è fantastico”. Quella parola detta al principio di una frase poco comprensibile, lo faceva ridere. Continuò a ripeterla fino a casa di Bud ed Erik, dove i due avevano organizzato un cena a base di pesce alla brace con qualche amico.
Entrò attraverso il cancellato del giardino e andò di corsa verso Erik. Scivolò sull’erba ancora bagnata e Bud si rese conto che era fatto come uno scemo. Tutti i presenti cominciarono a guardarlo con pena. Brad si rialzò e si avvicinò verso Erik, guardò Bud, gli toccò la spalla e disse che il gruppo si sarebbe chiamato “Sublime”, che loro erano Sublime, che questo era figo. Continuava a ridere e a respirare affannosamente e a guardare nel vuoto.
Quella sera i Sublime avrebbero dovuto suonare nel locale più trend di tutta la città: ogni gruppo “serio” era passato di lì, ogni sera si susseguivano i gruppi più alla moda e quella sera la concorrenza sarebbe stata agguerrita. La musica che Brad aveva messo su nel suo pick up era l’esatto opposto di quello che avrebbero suonato di lì a poco. Stava sentendo della Techno francese che aveva comprato in un suo viaggio a Biarritz, nella costa basca francese. Era nervoso come non mai, ubriaco di adrenalina e con una buona dose di polvere nel sangue. Stava sudando e guardandosi nello specchietto retrovisore si accorse che le sue condizioni erano davvero penose. Tirò giù la manica della camicia a quadrettoni e osservò che il braccio era tutto arrossato e la manica della maglietta bianca era sporca di sangue.
“Cazzo!!” disse abbassando la musica e accendendosi l’ennesima sigaretta.
Squillò il telefonino, era Bud.
“Dove diavolo sei?, dobbiamo suonare tra meno di mezz’ora”.
Brad era in ritardo, ma era in ritardo con tutta la sua vita, stava perdendo gli attimi più importanti della sua carriera e tutto per colpa di quella fottuta droga. Si fermò ad un semaforo che da verde diventò arancione e poi rosso. Abbassò il vetro fumè e notò alla sua destra un’utilitaria rossa, una di quelle piccole macchine che aveva sempre odiato. La macchina piccola era sinonimo di insicurezza, di modestia e non certo di onnipotenza, quale era invece un bel pick up. Dentro quella piccola vettura japponese c’erano due ragazzi: i classici tipi da college con tanti bei sogni e tanti sorrisi. La ragazza era attenta a baciare il suo ragazzo con la massima cura e lo guardava come se avesse davanti una divinità. Lo baciava, lo accarezzava, gli sussurrava parole dolci dentro l’orecchio.
Brad girò lo sguardo ed entrò in un vortice di ricordi di lui e Lucy in spiaggia che passavano giornate leggere senza far nulla.
Riprese un cd dal cassettino e tagliuzzò una striscia con la massima cura. Alzò lo stereo che passava della buona musica hip-pop e tirò su con tutta la potenza del suo corpo, come se non avesse respirato per qualche giorno.
Arrivò nel parcheggio del locale: la musica che usciva del locale era più densa del fumo che fuoriusciva ogni qualvolta aprivano la porta. Fuori c’erano Bud e Erik che lo aspettavano impazienti e incazzati neri. Erano appoggiati su una mustang del 58 blue elettrico, una macchina che Brad aveva sempre sognato. Avevano in mano delle birre e le avrebbero tirate tranquillamente sul parabrezza del pick up di Brad.
Il gruppo che li precedeva aveva praticamente spaccato ogni angolo del palco e i tre avrebbero difficilmente raggiunto lo stesso grado di distruzione viste le loro condizioni psico-fisiche.
Per entrare nel cuore della gente avrebbero dovuto dare un messaggio diverso e Brad avrebbe dovuto regalare tutto quello che possedeva nelle corde vocali per poter ipnotizzare il pubblico.
La quinta canzone finì di botto con un errore di Bud che aveva sbagliato un passaggio alla batteria: il pubblico non aveva avuto il tempo di intervenire in nessun modo visto che le canzoni si erano susseguite senza tregua.
La gente era a pochi metri da Brad, Erik continuava ad accordare il suo basso benché le canzoni in scaletta fossero finite. Era come un tic nervoso, come un giocatore di tennis che mette a posto le corde della sua racchetta. Non c’era però nessuna reazione, né un applauso, né un gesto di entusiasmo o disappunto. Solo una settantina di persone accalcate sudate ed ubriache, tutte rigorosamente in silenzio.
Brad si tolse di dosso la sua fender e raccolse da per terra una chitarra acustica, quella con cui aveva cominciato a suonare, quella del college. Si mise il plettro in bocca per poter accordare le corde più alte. Tirò su lo sguardo e si asciugò il naso dal sudore misto a delle gocce di sangue. Cominciò il suo arpeggio.
Brad non aveva mai lesinato nell’usare la sua voce; ad ogni concerto rimaneva senza anche per il poco uso che faceva del suo diaframma. La canzone era quella che tutti i musicisti avrebbero voluto scrivere, la musica era quella che ogni giovane avrebbe voluto comporre e la dolcezza della sua avrebbe fatto svegliare perfino l’anima del caro e vecchio Bob. Le luci della ribalta erano tutte per lui. Bud, da dietro e con il solo pubblico illuminato, si accorse che l’ipnosi era cominciata e che tutti i presenti erano in sintonia con le onde sonore create da Brad e dalla sua chitarra. Quando finì l’ultimo accordo la prima fila scoppiò in un applauso scrosciante e in un interminabile urlo. L’entusiasmo era alle stelle e tutti e tre avevano capito che il mito era nato, che avrebbero potuto dire la loro, la storia era Sublime, come la loro vita.
Il giorno del suo quarto compleanno, Lucy, la madre di Jacob, organizzò una festa con tutti i suoi compagni di scuola. Erano passati ormai tre anni dalla morte di Brad e quel bambino benché ancora così piccolo, manifestava tutto il malessere di un uomo solo, sofferente e pieno di problemi.
Lucy era preoccupata, scoppiava in lacrime appena lo guardava; la somiglianza con Brad era assurda: stessi occhi azzurri e minuscoli, stesso capoccione enorme, stesse fossette ad ogni sporadico e breve sorriso. Ogni volta che lo osservava era un cazzotto allo stomaco, una produzione di acidi, una proliferazione di bile stile fiume in piena.
Tutti i bambini erano attorno al tavolo da giardino, tutti pronti a tuffarsi dentro la torta alla panna che aveva preparato la nonna. Bud ed Erik erano concentrati nel contenere la foga irruente di quelle piccole “canaglie”. I bambini erano come ipnotizzati da quel miscuglio calorico di panna e cioccolata: ipnotizzati da quel piccolo Budda zuccheroso.
Sotto il tavolo c’era Lou dog, il cane di Brad, che si leccava i baffi dalla fame e che tramava di assalire qualche bambino in cambio di una fetta di torta.
Lucy era tutta indaffarata a cercare un accendino. Dentro la sua casa erano ormai scomparsi sigarette ed accendini e quindi fu costretta a chiederne uno a Bud che era solito fumarsi degli enormi sigari cubani. Nel giardino concomitante era appena tornato Mark da una giornata di lavoro: stava caricando sul suo van una tavola da surf. Mark era colui che aveva costruito l’ultima tavola per Brad, quella che mai aveva utilizzato. Lucy lo chiamò urlando il suo nome con la sua voce stridula. Mark si avvicinò allo steccato di legno marrone e disse che non poteva fermarsi perché sarebbe arrivato buio presto e si voleva fare un’oretta di sano “sport”. Lucy però insistette e Mark saltando la staccionata si avvicinò per dare un bacio a Jacob, che continuava in silenzio ad osservare la torta e a difenderla dai suoi vivaci contendenti.
All’improvviso un bambino seduto alla destra di Jacob chiese allo stesso dove fosse Brad, suo padre. Il sangue di Lucy gelò all’istante: Bud ed Erik si girarono di scatto verso Jacob aspettando una sua risposta. Mark si girò di scatto pronto a contenere una reazione di Lucy. Jacob continuava ad osservare la torta. Un altro bambino rispose che suo padre era morto per colpa della droga, che era un drogato, un tossicodipendente. Lucy sarebbe voluta morire, scappare, uccidersi e volare via il più lontano possibile. Delle lacrime fredde e lunghe scesero dal suo volto e dovette girarsi per non farsi vedere da suo figlio.
Jacob alzò lo sguardo verso quel bambino. Il suo non era uno sguardo di un bambino, era quello di un uomo, di un uomo sicuro di se. Lo guardò e gli disse:
“Non è vero, non e’ un drogato! Papà sta bene, è dentro di me e la sera mi canta le sue canzoni con la chitarra”. Jacob abbassò la testa e spense tutte e quattro le candeline con un soffio deciso e potente. Il suo naso era tutto sporco di zucchero a velo e questo fece scoppiare di gioia e risate tutti bambini intorno a quel tavolo.
Fine
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