Surfcorer.it – Riccardo Ghilardi, veterano e storico surfista di Banzai, conosciuto dai surfisti di mezza Italia come Riccardino, è salito ieri agli onori della cronaca per aver salvato la vita di un uomo a rischio annegamento nel sottopasso della Cristoforo Colombo a Roma. Ed è stato solo l’ultimo atto di una nottata passata a tirare fuori la gente dall’inferno di fango.
Quando Carmelo, mezzo assiderato, ancora sporco di fango, ma con addosso una divisa scintillante da pompiere, ha visto chiudersi il portellone dell’ ambulanza, ha fatto in tempo a rivolgere un ennesimo saluto a Riccardo: «Grazie, grazie ancora, hai rischiato la vita per salvare la mia, non ti dimenticherò mai». Poi l’ ambulanza l’ ha portato a sirene spiegate verso l’ ospedale. L’ angelo custode del cinquantenne che ieri mattina stava per affogare nel cavalcavia che passa sotto la Cristoforo Colombo all’ altezza del centro commerciale Euroma2, si chiama Riccardo Ghilardi. è romano, ha 37 anni, da dodici fa il vigile del fuoco e ha una passione che ieri gli è servita a portare a segno una missione disperata: va matto per il surf e ha anche un furgone vintage anni ‘ 70 da figlio dei fiori. « Maurizio, Danilo e io», tre dei 340 uomini intervenuti ieri a Roma, sotto il comando di Guido Parisi, per mettere in salvo 50 e più persone, «eravamo appena rientrati alla nostra caserma di via Marmorata dopo una notte passata a tirare fuori la gente dall’ inferno di fango. Ci stavamo togliendo gli abiti fradici e scherzavamo: “è meglio che prendi la tavola da surf che hai in macchina”, mi dicevano. Poi dalla centrale è arrivato l’ ordine: “Correte sulla Colombo”. La tavola non l’ ho portata ma mi sarebbe servita, eccome». Quando Riccardo Ghilardi, Maurizio Parenti e Danilo Tomei alle otto di mattina arrivano sul posto, trovano due metri e mezzo d’ acqua e fango a riempire il cavalcavia sotto la Colombo. «Carmelo – racconta Ghilardi – era sul tettuccio della sua macchina e, per non scivolare, si era messo a quattro zampe. Ma così aveva l’ acqua, per davvero, alla gola». Da via Genova avvertono i tre della squadra 7A che stanno arrivando i sommozzatori. Li aspettano sul ciglio della strada a 15 metri di distanza dal loro obiettivo che cercano di rincuorare, inutilmente. «Fortunatamente io mi ero già imbraghato e, quando ho visto che Carmelo ha iniziato a piangere, a dire che non ce la faceva più, ho capito che sarebbe andato sotto. Mi sono tolto anfibi ed elmetto e mi sono tuffato». L’ acqua è gelata, sporca e non si vede il mare di fango che c’ è sotto. «Ho iniziato camminando, ma mi sono accorto che sprofondavo fino alle ginocchia. Allora ho urlato ai miei: “Tienila sempre in tiro la corda, mi raccomando Danì”. E mi sono messo a nuotare». Carmelo, invece, non sa stare a galla. E continua a piangere. «Ho portato con me un’ altra cima e, quando sono arrivato a due metri, gli ho strillato a brutto muso. “Fermo, non ti avvicinare, prendi questa corda e stringila, e tira forte”». Riccardo sa che l’ uomo in mare non va avvicinato perché altrimenti porta a fondo anche il soccorritore: «le funi potevano imbrigliarsi e stritolarci». Carmelo è stremato («sì, aveva la bava alla bocca»). Ma si fida e, aggrappato alla cima, abbandona il tettuccio-isolotto dell’ auto. «Danilo e Maurizio tenevano le funi tese come corde di violino e ci portavano fuori da quella melma ghiacciata. Ma poi – rivela il pompiere – lui ha iniziato a cedere. “Non mi sento le gambe” diceva piangendo. “Non ce la faccio più, vado giù, vado giù …”». Ed è allora che le parole valgono più di un verricello. «”Stai calmo, vai benissimo, dai”, gli dicevo tenendomi a distanza. “Un piccolo sforzo ancora e ci beviamo il caffè insieme”». Finalmente il traino li deposita sul ciglio della strada. «E lì ci siamo abbracciati, lui continuava a piangere e a ringraziarmi. Ma, pensi, era preoccupato dei vestiti: “Guarda come ti sei infangato per salvarmi la vita”, mi diceva Carmelo». – CARLO ALBERTO BUCCI da Repubblica.it sezione Roma.
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