Surfcorner.it – “Luglio 80” è il nuovo film di Massimo Natale, gli anni di piombo visti da un ragazzino e un soldato americano.
TORRE GUACETO-BRINDISI
Una caletta di sabbia chiara, il mare celeste, la duna morbida, gli ulivi sulle colline: un ragazzino del sud che s’affaccia alla vita stringe amicizia con un anziano e disilluso militare della base Nato. A unire due esseri tanto lontani per età, cultura, ideologie la passione per il surf. Il militare americano sa andare sul surf, il ragazzino vorrebbe imparare. Dopo quest’incontro tutti e due non saranno più gli stessi. Si gira a Torre Guaceto, un’oasi naturale in provincia di Brindisi, Luglio ‘80, piccolo film ambientato in Puglia, una terra che il cinema ha scoperto tardi, ma che oggi, dopo i successi di Winspeare, Rubini, Nicola Cerasola, Cristina Comencini, la Wertmuller e adesso Ozpetek che qua sta facendo Mine vaganti con Alba Rohrwacher, Scamarcio e Preziosi, è diventata uno dei fondali preferiti dal nostro cinema.
La storia, con cui Giorgio Fabbri ha vinto il Solinas, un premio di sceneggiatura che non si ottiene per via di raccomandazioni, è minuscola, tutta compresa in quest’orizzonte di spiaggia e stretta nel tempo tra due tragiche date di stragi: il 27 giugno 1980, la notte di Ustica, e il 2 agosto dello stesso anno, la bomba alla stazione di Bologna. L’Italia allora era quella: lotta armata, attentati, servizi segreti, trame, cortei di protesta e un antiamericanismo serpeggiante che faceva gridare ai manifestanti: «Via dalla Nato». L’amicizia è un filo di speranza. E‘ un film di «se» Luglio ‘80. Se avessimo capito, se avessimo smesso di contrastarci, se gli uomini imparassero a usare le parole invece delle armi. Se, se, se.
Prodotto e voluto da Mario Mazzarotto con la Movimentofilm, finanziato anche dal ministero e da Raicinema, per metà di svolge tra le onde, per metà sulla sabbia dove il ragazzino si deve confrontare con il suo gruppetto di amici appena un po’ più grandi, quel tanto che basta, però, a fargli scoprire di potersi innamorare pure lui. Gli attori sono giovanissimi. Luigi Ciardo, ha 14 anni, frequenta il liceo, studia pianoforte ma aveva fatto una cosina con Winspeare che l’ha consigliato alla produzione. Il fratello maggiore è Pietro Masotti, bello dallo sguardo ambiguo uscito dall’Accademia. Il primo amore è Matilde Pezzotta, una biondina di 17 anni con alle spalle qualche spot di cui uno per far votare i giovani alle europee, vista la sua aria seria e pulita. La regia, la prima nel cinema, è di Massimo Natale, uno dei figli di Mario, mitico agente dello spettacolo italiano da poco scomparso, immenso per stazza e autorevolezza.
Cresciuto professionalmente accanto a Garinei nel teatro «Sistina» di cui continua ad occuparsi, Natale è diventato regista di commedie da palcoscenico per amore della moglie attrice e con questo Luglio 80 fa il grande passo. «Il copione è una poesia, sospeso com’è tra realtà e fantasia. Niente a che vedere con Notte prima degli esami cui non avrei mai osato ispirarmi perché è perfetto. Una favola moderna, piuttosto, con punte di amaro. Se dovesse riuscire potrebbe venir fuori un gioiellino, altrimenti sarà una grossa sciocchezza». Paura? «No. Molta concentrazione». E’ una idea di Natale costruire una colonna musicale ispirata ai ritmi degli Anni 80, quelli della Milano da bere, ma metterci dentro anche L’avvelenata di Guccini e L’isola che non c’è di Bennato. E’ un’altra idea sua aver voluto, nel ruolo del capitano della Nato, Treat Williams, indimenticato interprete di Hair di Milos Forman, ma anche di C’era una volta in America di Leone, tornato al successo in Usa con la serie «Erverwood» che lo ha portato a prender casa nei boschi dello Utah, dove si tiene il Sundance festival.
Attore completo da Macbeth a Grease, appassionato di aerei che pilota personalmente, americano fino al midollo con un antenato che firmò la Dichiarazione di Indipendenza, Williams non sapeva alcunché di Ustica, di Bologna, del terrorismo rosso e nero, delle trame dei servizi segreti, e perfino delle basi americane in Italia, ma da democratico vicino a Obama molto se n’è interessato: «Mi rendo conto – ammette ridendo – meglio e di più perché noi americani non siamo simpatici a tutti nel mondo» .
di SIMONETTA ROBIONY
www.lastampa.it
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