Surfcorner.it – Certo, avere a disposizione una casa come la “Roundhouse” dove andare in pensione durante la piatta estiva italica, non sarebbe per niente una cattiva idea…
Il nostro inviato Mike Pireddu ci racconta la sua esperienza nella Nike 6.0 Roundhouse, la Surf House Full Optional, inaugurata di recente a Hossegor.
Testo e foto di Mike Pireddu
Partire verso una destinazione ben chiara e precisa alla quale già dai a priori una forma precisa, ma non ben sapendo quali sarebbero stati i contorni ma anche la sostanza del viaggio che ti separa da questa… Così avrei potuto definire la situazione che mi si presentava davanti, subito dopo aver accettato la proposta di recarmi a Hossegor per l’opening della “Nike Roundhouse“.
Si sarebbe partiti da Milano Linate, e già quello mi portava a dovere organizzare in meno di 24 ore un viaggio articolato in un passaggio in stazione, in un treno, in una metro, in un autobus per intanto farsi ospitare da Carlo Alberto a Milano. E già parecchi neuroni erano impegnati in questo: e così fu che la sera prima della partenza mi trovavo in Piazza 24 Maggio con Carlo a guardare una delle poche partite a cui ho assistito a questo mondiale.
Per me viaggiare prestissimo in taxi nelle grandi città quando le prime luci dell’alba illuminano già, ma la maggior parte delle persone ancora dormono, è una cosa davvero senza prezzo. E dico bene in taxi, non per il fatto di non guidare, ma per tutto lo stile che la situazione ti porta a vivere. E così preso su Federico Faldella di Nike, la direzione Linate prima e Parigi poi ci separavano dalle ultime manovre indispensabili per giungere a Hossegor.
Verso le quattro del pomeriggio ci trovavamo a depositare i bagagli in hotel, dopo che l’impeccabile servizio trasporto organizzato per noi ospiti Nike 6.0 aveva fatto il suo dovere. Meno fortunata la coppia Bonomelli- D’Amico che, dispersi a Saint Jean de Luz, dopo aver mobilitato mezzo entourage Nike, riescono ad arrivare verso le 17.30.
Ci sono due ragioni perché la Nike Roundhouse mi ha conquistato: il primo è perché si trova proprio vicino al miglior hamburger di Hossegor ( dove però a volte invecchi di due o tre ore prima di ricevere l’amato Hummer ) e la seconda perché questo posto si è rivelato essere la massima espressione della creatività legata in questo caso ad un team di surf. Ma non solo.
L’idea di base è quella di rispecchiare anche nella struttura stessa lo spirito del team, del brand e degli elementi dello stesso. Dalla cucina con tutti gli accessori che una post session di surf ti possa regalare, alla stanza in cui stamparti la t-shirt per uscire magari la sera. Senza dimenticare la sala con i giochi più divertenti come il calcio balilla ed i dardi per citarne due, ai curiosi bagni in cui la distinzione non si limita ad uomini o donne ma compare anche un molto politically correct “ others” .
Le stanze dei riders, ognuna con elementi tipici degli stessi, sono un po’ il sogno di ognuno, un tatuatore capace di realizzare tatuaggi al piano inferiore e un utilissimo computer grazie al quale customizzare le proprie scarpe al massimo livello di dettaglio, fanno anch’esse parte di questo vero e proprio presidio di Nike a Hossegor.
Beh, ovviamente non dimentichiamoci della piscina e del palco che ospiterà vari concerti questa estate e serate sicuramente da non perdere.
I nostri due giovani riders Angelo e Roberto hanno così avuto modo di relazionarsi con il resto del team Nike 6.0, con i riders e managers di uno dei marchi sicuramente più attivi nella scena al momento, capace di realizzare fisicamente e non solo, uno degli avamposti di richiamo e comunicazione più interessanti presenti in giro.
Potremmo passare le ore a raccontare i dettagli d’ogni singolo elemento, dell’enorme lavagna a muro dove sono scritte le informazioni sulle attività e sulle swell, oppure della curiosa macchina delle foto istantanee localizzata in un servizio, ma credo risulterebbe anche noioso.
La mia esperenzia alla Nike Roundhouse con Federico, Angelo e Roberto mi ha dato nuovi stimoli e motivazioni, anche per chi come me il più delle volte si ritrova a lottare per galleggiare con una tavola in mare od altre volte si trova dietro una lente a cercare di cogliere un momento assoluto durante una azione sportiva: voglia di crederci e di vedere che alla fine c’è sempre la voglia di continuare a darci dentro anche se vieni da un paese in cui le onde si fanno attendere per tempi lunghissimi.
Il concerto, la festa, le notti, e le onde, sia prese che fotografate, hanno riacceso quella spia interna che ognuno di noi ha, che quando la senti accendere è inutile che la guardi per sapere cosa significa. Perché alla fine già sai bene cosa significa. Cosa?
Partire.
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