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Beach Boys The Smile Sessions

Diventa realtà il sogno del disco perfetto dei Beach Boys.

Per 44 anni giudicato «il più grande album non pubblicato nella storia della musica», «Smile» dei Beach Boys perde oggi il suo primato. Con il titolo «The Smile Sessions», le canzoni registrate da Brian Wilson e compagnia nella California del 1966-1967 escono per la prima volta in modo ufficiale e integrale, nella sequenza inizialmente prevista e con l’aggiunta di decine di versioni alternative. Un momento sperato e temuto da molti: la fantomatica bellezza di «Smile» per decenni è stata solo in parte messa alla prova della realtà, e le tracce più o meno fedeli alle originali scovate nel corso degli anni sono diventate un tesoro inestinguibile per i collezionisti. «Smile», l’«album perfetto», era un sogno da inseguire in eterno.
Registrazioni di «Surf’s Up» o «Heroes and Villains» sono uscite via via in diversi album dei Beach Boys, e il leader della band Brian Wilson nel 2004 portò in concerto l’intero album fantasma, ma mancava l’edizione completa. Si potrà ancora coltivare l’illusione che qualche momento di musica straordinaria sia andato perduto nella notte di follia di oltre quarant’anni fa, quando Brian Wilson in preda all’insicurezza — e all’acido lisergico — distrusse mesi di lavoro, ma da oggi l’atto mancato può considerarsi riparato. E il miglior disco del 2011 rischia di essere un album inciso nel 1966.
La leggenda di «Smile» comincia con il singolo «Good Vibrations», arrivato all’epoca al numero uno delle classifiche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, e embrione della «sinfonia adolescenziale rivolta a Dio» che già prendeva forma nella mente di Brian, il maggiore dei fratelli Wilson e genio compositivo dei Beach Boys. Come «Good Vibrations», bizzarro e riuscito collage di tanti temi musicali e strumenti differenti (compreso il celebre Theremin inventato dal fisico sovietico nel 1919), «Smile» avrebbe dovuto spingersi oltre il capolavoro precedente «Pet Sounds», rivoluzionando i codici della forma canzone.
Il 24enne Brian Wilson si sentiva chiamato alla creazione dell’opera pop definitiva ma — sovrappeso Icaro californiano col ciuffo — si spinse troppo vicino al sole e finì con il precipitare: la sua collaborazione con Van Dyke Parks era malvista dagli altri membri della band, e la tanta droga che circolava ai bordi della piscina di casa accentuava la sua tendenza alla paranoia e alla schizofrenia.
In questo periodo Brian Wilson cominciò a guadagnarsi il titolo di squinternato più talentuoso del pop: oltre alla celebre sabbia sparsa nel soggiorno per suonare il piano a piedi nudi, Wilson si convinse che il padre Murry lo stesse spiando attraverso microfoni piazzati in auto e in casa, e che il film «Operazione diabolica» di John Frankenheimer con Rock Hudson fosse stato realizzato all’unico scopo di farlo impazzire. Per incidere la canzone «Fire», Wilson indossò un elmetto dei pompieri giocattolo e chiese a tutte le 24 persone nella stanza di fare altrettanto; quando qualche ora dopo un incendio divampò vicino a Malibu, fu certo che fosse stata la sua canzone a provocarlo.
Bastava niente per mandare tutto all’aria. Un primo colpo lo diede «Strawberry Fields Forever» dei Beatles. Brian Wilson la sentì per caso alla radio, in macchina, e dovette accostare per dire al produttore Michael Vosse seduto accanto a lui, affranto: «Sono arrivati prima loro». I Beach Boys e i Beatles erano amici ma Wilson voleva essere il migliore: quando, qualche mese dopo, ascoltò in anteprima «Sgt. Pepper’s», capì che non ce l’avrebbe fatta, si lasciò prendere dallo scoramento e disperato cancellò ore e ore di registrazioni. Fu così che i nastri perduti di «Smile» divennero il Sacro Graal di ogni musicofilo.
Oggi cominciano le celebrazioni dei cinquant’anni della band americana. Nel mare di discutibili album e cofanetti proposti da un’industria discografica con lo sguardo sempre più rivolto al passato, «The Smile Sessions» spicca come una tavola da surf sull’Oceano.

Fonte: Quotidianamente.net

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