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A Rischio le Surfboard Company Australiane?

L’industria del surf australiana, icona culturale, è destinata a scomparire? Lo scorso ottobre, la ditta BASE, una surf company della Gold Coast ha improvvisamente chiuso i battenti e lasciato senza lavoro ben 30 persone. In seguito anche la D’Arcy Surfboards ha annunciato un pesante ridimensionamento che la porterà a trasformarsi in un piccolo laboratorio. Anche l’industria del surf sta subendo le conseguenze dell’elevato tasso di cambio del Dollaro Australiano?

Secondo gli esperti, l’Australia non è in grado di tenere testa alla corsa al ribasso per il prezzo del lavoro. Anche se il dollaro si abbassasse sostanzialmente la verità è che ci sono più profonde questioni strutturali ed umane che influiscono sul costo del lavoro.

Negli ultimi tre anni l’industria del surf australiana è stata oggetto di ricerche che hanno evidenziato che solo una piccola parte della popolazione è a conoscenza che le tavole sono ancora fatte a mano. Molti surfers Australiani preferiscono ancora utilizzare tavole fatte su misura dagli shapers locali piuttosto che acquistare modelli più economici provenienti dall’estero.

L’Australia è sempre stata all’avanguardia nell’industria del surf, a partire da Bob McTavish che negli anni 60 inventò la “plastic fantastic” innescando la shortboard revolution. Un’altra innovazione made in Australia è il “Thruster”, design ideato da Simon Anderson negli anni 80. Questi sono solo due esempi celebri ma negli anni centinaia di eccellenti workshop sono nati su tutte le coste australiane nei pressi dei migliori surf spots.

Master Shaper, Bob McTavish : photo Andrew Warren
 

Negli anni 80 e 90 sulla scia della moda dell’abbigliamento legato al surf si sono sviluppate le grandi company come Quiksilver, Billabong e Rip Curl che nel corso degli anni hanno subìto le varie crisi economiche globali.

I piccoli shapers hanno invece fronteggiato problemi differenti. Con la recente possibilità di shapare tavole attraverso macchinari a controllo numerico tutto è cambiato. Nel tentativo di competere con le grandi company, i laboratori hanno dovuto investire in macchine costose e cercare di aumentare i propri volumi di produzione. La conseguenza è stata un aumento delle vendite nei periodi positivi ma anche grandi rischi nei periodi di recessione.

Il potere è pian piano passato nelle mani dei rivenditori, con accordi molto rischiosi che hanno favorito la chiusura dell’attività di molti shapers nei periodi di crisi.

Un’altro aspetto da tenere in considerazione è che questo settore è notoriamente strutturato in maniera informale. E’ nato tutto da gruppi di amici che si facevano le tavole da soli e che un giorno hanno deciso di trasformare la cosa in un lavoro. L’idea del lavorare tra amici è quindi rimasta tra gli artigiani delle tavole da surf. I vari workshop hanno un’organizzazione molto familiare, non ci sono regole ben precise sui vari livelli lavorativi degli shapers e questo aspetto apparentemente positivo può avere anche riscontri negativi. In questa realtà priva di una regolamentazione ci si ritrova spesso nella situazione in cui i vecchi shapers al momento di abbandonare l’attività non hanno un ricambio generazionale perchè non hanno tramandato le proprie conoscenze. Questo potrebbe favorire ulteriormente la meccanizzazione dell’industria delle tavole da surf.

E a questo punto l’Australia sarebbe davvero costretta a fronteggiare la competizione di Thailandia e Cina nel mercato delle tavole a produzione industriale.

E’ quindi inevitabile la morte del mercato delle tavole da surf made in Australia? Forse no. La cultura del surf garantisce comunque alla sua industria un core business basato su chi surfa regolarmente e con passione. Surfando tanto il consumo di tavole aumenta e i veri surfers al momento di fare un acquisto rimangono spesso fedeli ai loro shapers preferiti.

Sicuramente questo è un settore che va protetto per la sua lodevole tradizione e perchè rappresenta un’attività nella quale le regioni ed i lavoratori australiani hanno un ovvio talento.

Leggi  l’articolo completo di Chris Gibson, Professore dell’università di Wollongong

www.theconversation.edu.au
Fonte: The Conversation
Autore: Chris Gibson

 

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