Sul nuovo numero di Luglio del Redbulletin, il magazine di Red Bull appena uscito, c’è un ampio speciale dedicato alla nuova generazione di surfisti che stanno catturando l’attenzione dei media in questa stagione ASP. Il focus è puntato su Julian Wilson, John John Florence e Kolohe Andino, che nelle ultime tappe del Tour si sono messi particolarmente in luce e sono anche tra i più pagati del circuito.
Il Red Bulletin in versione cartacea è un magazine a pagamento e riservato agli abbonati, ma se vi scaricate la App (gratuita) per smartphone, si può leggere gratuitamente la versione integrale del mag digitale, incluso il numero corrente.
Più sotto vi proponiamo tutto l’articolo di questo numero tradotto in italiano, visto che al momento sia la versione cartacea sia quella digitale consultabile via app sono entrambe in inglese. Ci sono cose molto interessanti sui dietro le quinte del surf professionistico e vi consigliamo vivamente di leggerlo tutto…
Sul sito ufficiale invece è possibile leggere anche i vecchi numeri già passati all’archivio:
http://www.redbull.com/cs/Satellite/en_INT/Red-Bulletin-Magazine-International/001243243030545
The Red Bulletin, luglio 2013 www.redbulletin.com
I nuovi idoli del surf
Da ragazzini con le acconciature punk ad atleti professionisti, le nuove stelle del surf sono sempre più sdoganate. E il mondo del surf conta su di loro per conquistare l’attenzione mediatica del mondo intero
A miglia di distanza dalla costa, Julian Wilson sta sudando. Fuori piove – e nell’Oregon piove parecchio – dentro Wilson lancia lo pneumatico di un trattore sul pavimento di una palestra vuota, sotto lo sguardo attento del suo trainer. A soli 24 anni Wilson è un surfer professionista, uno dei migliori. Si sta allenando nell’avvenieristico complesso sportivo Nike, suo main sponsor, costruito appositamente per trasformare semplici atleti in campioni olimpici. Wilson lancia un’ultima volta la gomma pesantissima poi si sposta alla speedbag prima di affrontare una serie di scatti sulle scale.
Questa potrebbe sembrare una scena non convenzionale se rapportata all’immagine tipica che si ha comunemente del surfista: tavola, spiaggia e la patologica ossessione di evitare le umide palestre dell’entroterra piovoso. Cose faticose come la pilometria e l’allenamento muscolare unilaterale non si adattano molto all’ideale del surfista che se la gode al sole della California. Ma è per questo che Wilson è lì a sudare, da solo, sul pavimento della palestra: vuole conquistare l’attenzione del mondo, vuole farci cambiare idea.
Il giovane australiano ha guadagnato qualcosa come 300,000 dollari in premi solo nell’ultimo anno per non parlare delle ben maggiori entrate ottenute come testimonial. Fa parte di una generazione per cui il surf non rappresenta un hobby controcorrente: per Wilson e soci il surf è uno sport, una carriera e un’industria da miliardi di dollari. È una disciplina che si è evoluta e diffusa in lungo e in largo, dall’Islanda al Marocco al Brasile. I brand del surf sono venduti a prezzi altissimi sui mercati internazionali e, adesso, i ragazzini che hanno talento non vanno a scuola come tutti gli altri ma prendono lezioni private come le piccole star hollywoodiane.
Nell’Olimpo degli idoli del surf c’è anche l’hawaiano John John Florence, classico bambino prodigio diventato professionista. Gli sponsor se lo contendono da quando aveva 6 anni. Parliamo di ragazzi che possono permettersi una macchina ipercostosa ancora prima di avere l’età per guidarla.
Eppure, nonostante tutti questi progressi, il surf rimane ancora uno sport secondario, persino comparato a sport d’azione come lo snowboard o lo skateboard. L’interesse può accendersi o spegnersi a seconda delle circostanze ma, in generale, nonostante sia sulle spiagge da oltre mezzo continua a rimanere principalmente di nicchia.
Wilson e soci potrebbero cambiare le cose. Per usare un gioco di parole potremmo dire che stanno cavalcando un’onda che sta portando il surf più vicino che mai ai salotti mondani, ai nuovi media, a performance migliori, al giro d’affari che ruota attorno alla promozione mediatica delle giovani promesse. Surfisti del calibro di Florence, del californiano Kolohe Andino, del sudafricano Jordy Smith e del brasiliano Gabriel Medina: loro sì potrebbero surf diventare i portavoce mondiali e far appassionare il grande pubblico al surf.
Julian Wilson si fa una doccia. È nell’Oregon da due settimane e si sta allenando nel quartier generale del suo sponsor per prepararsi al primo evento del campionato mondiale dell’Association of Surfing Professionals (ASP). Wilson si allena quotidianamente, anche due volte al giorno. Tra una sessione di allenamento e l’altra partecipa a riunioni strategiche in cui vengono accuratamente testati i vantaggi tecnici di un boardshort super elasticizzato. Di sera si rintana in albergo, beve solo acqua, dorme spesso e mangia molto. Per lui si tratta di un viaggio d’affari. “Oggi i ragazzi si allenano duramente”, dice parlando della sua generazione di professionisti “e prestano grande attenzione all’impressione che danno alla gente. Non si tratta più di uscire e andare alle feste, cose che sono comunemente associate all’idea stereotipata del surfista, che è sempre in giro per il mondo a spassarsela e viene pagato per farlo. Se sei così oggi ti bruci la carriera.”
È questa professionalità – un termine che fino a poco tempo fa sarebbe stato ostracizzato dal lessico del surf – che guida la rapida ascesa di questo sport. Le vecchie storie di guerra sui campioni che alcol non disdegnavano la bottiglia, non dormivano mai e si rendevano protagonisti di notti brave per poi noleggiare una tavola a caso la mattina della gara sono semplicemente storie vecchie, superate. Totalmente aliene ai professionisti di oggi per i quali la forma fisica e la preparazione atletica sono diktat. “I surfisti più sono giovani i surfisti e più sono seri” afferma Florence, 20 anni. “Cominciano prima ad allenarsi sia fisicamente che psicologicamente.” A ogni evento ASP è normale vedere allenatori, manager, agenti e cameraman pagati per catturare ogni singola surfata dei professionisti. Ci sono anche biciclette da spinning e fitball per aiutare gli atleti a scaldarsi, un tavolo per i massaggi e un’area ristorazione. “È un po’ meno selvaggio adesso”, ammette Peter Jasienski, global media director del brand Hurley, che lavora con Wilson, Andino e Florence. “Queste giovani star sono consapevoli dell’influenza che hanno sul pubblico, sia che si tratti di adulti o ragazzini. Questa è la differenza maggiore rispetto al passato.” I risultati non sorprendono: surf migliore, migliori modelli di comportamento e migliore immagine per lo sport in generale – tutta musica per le orecchie dell’industria. La professionalità, dopotutto, è un sintomo; i soldi sono la causa. Due anni fa, Dane Reynolds, che allora era un famoso venticinquenne ancora alla ricerca della vittoria di un mondiale ASP, è stato reclutato da Quicksilver per 23 milioni di dollari in sei anni.
Le guerre delle offerte sono diventate una prassi comune da quando i migliori surfer sono stati lanciati sul mercato. La gara del 2007 per Jordy Smith è stata così accesa che a quanto si dice Nike ha ingaggiato Tiger Woods in persona per corteggiare il teenager.
È in questo contesto che ammazzarsi di squat dentro un’umida sala pesi dell’Oregon improvvisamente diventa sensato. I ricavi annuali dell’industria del surf a livello mondiale oggi superano i 6 miliardi di dollari e si pensa che siano destinati a raddoppiare entro il 2017. Non è un caso che i surfisti abbiano cominciato a comportarsi come atleti professionisti: vincere un mondiale ASP oggi fa incassare un assegno a sei zeri più tutti i potenziali guadagni delle sponsorizzazioni. “Anche se le aziende e le competizioni sembrano arrancare, oggi nel surf girano più soldi che mai”, afferma Florence, ora al suo secondo anno di mondiale. “Non solo per gli atleti ma anche per gli eventi e gli sponsor.” Per alcuni atleti, cioè solo per i migliori. “Wilson, Andino e Florence, direi, rappresentano la triade del surf contemporaneo”afferma Jasienski “non tanto per gli investimenti che generano quanto per la loro nuova prospettiva. Questi ragazzi vedono il surf come una vera e propria carriera professionale: sanno vendersi bene ai media, sono consapevoli dell’influenza che hanno sui giovani, sono in grado di farsi promozione.” Si guadagnano il pane, insomma, ma non è facile come sembra. Tutto ciò richiede palestre hi-tech, allenatori esperti e la capacità di esporsi e intrattenere il pubblico oltre a tutto ciò che implica essere un atleta professionista. I brand non investono grandi somme sul primo ragazzino prodigio che passa, non se lo possono permettere. Il settore, infatti, sta attraversando tempi di crisi e c’è spazio solo per l’1% degli atleti, i top: Wilson, Andino e Florence ad esempio che sanno surfare ma sanno anche come far parlare di sé.
Stiamo parlando di veri e propri showman: come dimenticare l’impresa di Wilson che, nel 2007, prese un’onda, si lanciò nell’aria in rovesciata staccando completamente i piedi dalla tavola, l’afferrò con le mani e atterrò come se niente fosse? La battezzò Sushi Roll questa manovra aerea. Un mix di free-style, twisting e backhand loop che lo consegnarono alla storia del surf appena diciottenne. La cosa più significativa dell’impresa, però, fu il modo in cui si diffuse nel web: il video del Sushi Roll non fece in tempo ad essere caricato su YouTube che si era già diffuso in modo virale sui social, diventando un simbolo del surf progressive. E questo era solo un assaggio della pasta di cui è fatta la nuova generazione dei surfer. Tutto uqesto accadeva sei anni fa: da allora la tecnologia non ha fatto che semplificare le cose, rendendo questo tipo di imprese ancora più facilmente comunicabili al mondo. Una surfata o una gara intera possono raggiungere milioni di fan ancor prima che i capelli del surfer si siano asciugati.
Due anni dopo il famoso Sushi Roll, il video del salto mortale di Jordy Smith in Indonesia raggiunse la stessa viralità sul web: lo si può vedere in Done, il corto realizzato da Florence l’anno scorso per mettere in mostra le sue migliori surfate degli ultimi mesi. Non a caso Wilson e Andino si fanno sempre accompagnare da un cameraman: negli ultimi anni entrambi hanno creato dei blog pieni di filmati inediti pubblicati quasi in diretta. Mai prima d’ora i fan hanno avuto questo tipo di accesso illimitato al migliore surf! “C’è molto più pubblico che segue questo sport rispetto a quando ho cominciato io” dichiara Wilson, “Il surf sta diventando molto più mainstream, almeno in Australia. Roba che va in tv! Ed è stato impressionante l’anno scorso durante gli US Open vedere tutto quel surf nella top 10 dei Plays of the Day. Gli iPhone sono incredibili, permettono alla gente di essere sempre aggiornata su tutto! Anche sul surf.” È qui che Wilson tocca il nocciolo della questione: il surf migliore non si trova solo nelle riviste specializzatema nelle gare di un stratosferico placoscenico mondiale, con la macchina da guerra ASP ad agire da cassa di risonanza per coinvolgere sempre nuovi spettatori. “Gli atleti ci tengono sempre di più a dare spettacolo” aggiunge Gabriel Medina. “Lo spettacolo cattura il pubblico e porta nuovi fan.” Il progetto è di fare del surf uno sport spettacolare, facile da seguire anche se non si può andare in spiaggia liberandolo, quindi, dai confini di sport di nicchia in cui è stato troppo a lungo relegato. “Oggi la chiave è l’accessibilità” commenta Peter Jasienski. “A essere sincero”replica Wilson, “non credo che i contest di surf arriveranno mai a essere seguiti in diretta televisiva come le partite di calcio. Ma se gli eventi verranno impacchettati per bene e mandati in TV, e se si mostreranno le onde migliori e si spiegherà come funziona, allora credo che potrebbe davvero catturare il grande pubblico”.
Se tutto va come deve, nei prossimi anni milioni di persone vedranno Julian Wilson fare il Sushi Roll in diretta sulla tv nazionale senza batter ciglio: allora potremo dire che il surf sarà davvero uscito dall’ombra e diventato mainstream.
Cosa serve per tagliare questo traguardo? Una nuova generazione con il potere della celebrità e un pubblico appassionato, molto più grande di quello che si raduna in spiaggia per i contest, che non aspetta altro che l’occasione di essere coinvolto. È il momento di cogliere l’occasione e saltare sulla tavola!
Le schede dei protagonisti:
JULIAN WILSON
Nato l’8 novembre 1988, a Coolum Beach, Queensland, il prodigio australiano guida la nuova generazione dei surfisti professionisti. Prima di convertirsi allo shortboard, Wilson ha vinto il titolo Australian Junior Longboard all’età di 14 anni. Wilson è un ambasciatore della National Breast Cancer Foundation e in gara usa tavole rosa per raccogliere fondi per l’organizzazione benefica americana.
JOHN JOHN FLORENCE
Nato a Honolulu, Hawaii, il 1 ottobre 1992, Florence è il più vecchio di tre fratelli, tutti surfisti professionisti. All’età di 13 anni Florence era il più giovane surfista a partecipare al prestigioso contest Triple Crown. Sei anni dopo è stato il più giovane a portarsi a casa il titolo.
KOLOHE ANDINO
Nato a San Clemente, California, il 22 marzo 1994, Andino è figlio di un surfer professionista, vincitore di un campionato US nel 1990 e nominato ASP Rookie of the Year nel 1991.
Lascia un commento