Allarmante studio rivela: estinzione delle specie ittiche marine entro il 2048.
A cura di Filippo Marino
Il tema della tutela dell’ambiente non passai mai di moda, e quando coinvolge i mari e gli oceani, habitat naturale di noi surfisti, diventa ancora più toccante, soprattutto se in base a uno studio, datato nel 2006 ma tornato alla ribalta recentemente, a rischio sono le stesse acque dove siamo soliti surfare.
Filippo Marino, appassionato surfista residente sull’Oceano da diversi anni, sensibile alla tematica ambientale, è testimone ogni giorno in prima persona degli effetti dei cambiamenti climatici sull’Oceano e sulle coste e con questo articolo riporta alla nostra attenzione un tema trattato in uno studio datato alcuni anni fa ma riportato all’attenzione globale recentemente dopo essere stato ricondiviso sui social media e ripubblicato da organizzazioni come Sea Shepherd o siti come The Inertia.
Esagerando lo scenario apocalittico, cosa succederebbe se le acque dei mari e degli oceani in conseguenza dell’acidificazione diventassero non più balneabili? Le onde rimarrebbero soltanto belle creature della natura da guardare e non toccare? Meglio non rischiare e nel nostro piccolo cominciare a darci da fare.
Entro il 2048 negli Oceani non ci saranno più pesci.
Questo scenario apocalittico e allarmante purtroppo è in realtà basato su dati scientifici, è stato dipinto da un team internazionale di ecologisti ed economisti oltre che pubblicato su riviste autorevoli che non sono solite pubblicare spazzatura. I risultati di questo studio datato originariamente 2006 sono più che allarmanti e prevedono che entro il 2048 negli oceani non ci saranno più tutte le specie marine che noi conosciamo e che anche (in parte) consumiamo. Nelle ultime settimane i risultati di questo studio stanno rimbalzando in modo virale su internet riportando il problema all’attenzione di tutti.
Le cause sono presto individuate nella pesca eccessiva ed indiscriminata (si pesca troppo nei nostri mari), perdita degli habitat marini, inquinamento e soprattutto nei cambiamenti climatici che provocano una rapida acidificazione degli oceani.
Lo studio condotto dal Dottor Boris Worm dell’Università Di Dalhousie, Halifax, Nuova Scozia, in collaborazione con molti colleghi britannici, svedesi e panamensi, trova le sue ragioni nella volontà e necessità di capire cosa l’eventuale perdita di tutte queste specie marine possa significare per il mondo e l’umanità.
I ricercatori hanno analizzato tutti I dati a loro disposizione e, per usare le parole di uno dei ricercatori, I risultati hanno evidenziato una realtà al di là della immaginazione. Lo stesso Worm si é detto scioccato dalla inopinabilità di questi risultati e dai trends che puntano tutti verso una estinzione di massa nel 2048, cioé molto prima di quanto ci si potesse aspettare.
“Non ci troviamo di fronte a presagi nefasti, tutto cio’ sta già succedendo”, ha dichiarato uno dei ricercatori, la Dottoressa Nicola Beaumont dell’Istituto Marino di Plymouth, GB, che ha aggiunto: “se la biodiversità marina continua a declinare in tal modo ed a tale velocità, l’ambiente marino non sarà capace di supportare il nostro stile di vita, anzi non sarà capace di supportare la nostra vita in nessuna maniera!” Già il 29% delle specie ittiche commestibili presenta una forte criticità ed un declino del 90% dei loro stock.
Il che significa null’altro che il collasso di queste specie.
Ma il nodo della questione non é la disponibilità o meno di pesce nei nostri i piatti, bensì la salute degli oceani. Le specie marine funzionano come filtri ed eliminano le tossine presenti nell’acqua, proteggono le coste e riducono il rischio di eccessivo ed incontrollato sviluppo di alghe come la marea rossa (tipo di alga tossica che ha un impatto devastante sulle acque e le coste).
Larga parte della popolazione mondiale vive nelle zone costiere, e tale estinzione avrebbe conseguenze disastrose, dichiarano il Dott. Worm ed i suoi colleghi.
Lo studio ha analizzato dati risultanti da 32 esperimenti condotti su differenti ambienti marini. Dopodiché, I ricercatori hanno analizzato circa i 1000 anni di storia di 12 regioni rivierasche incluse San Francisco e la baia di Chesapeake negli Stati Uniti, l’Adriatico, il Baltico, and iI Mare del Nord in Europa. Subito dopo l’analisi si é spostata sulle specie ittiche (e le loro scorte) e sui dati provenienti da 64 grandi ecosistemi marini. E per finire, I ricercatori hano analizzato i dati provenienti dallo studio di 48 aree marine protette e dal loro recupero.
La conclusione é stata che tutto cio’ che vive negli oceani ha la sua importanza, e che soprattutto il mantenimento della biodiversità é la chiave per la sopravvivenza non solo degli oceani, ma in ultima analisi, dell’umanità intera.
Putroppo la perdita di varie specie marine non é graduale come si pensava, ma si sta verificando ad una velocità mai prima immaginata. Il Dottor Worm ed I suoi colleghi concludono con un appello ai governanti di tutti I Paesi del Mondo chiedendo con forza la promozione ed il sostegno della pesca sostenibile; la creazione di un sistema di organizzazione e gestione sostenibile della pesca; la creazione di un sistema di controllo e prevenzione dell’inquinamento e misure che mitighino fino ad abbatere I cambiamenti climatici; in ultima istanza, la creazione di nuove e numerose riserve marine
perché risulta chiaro dallo studio che le aree protette sono quelle dove vi é maggiore diversità di specie e quindi più sane!
Worm aggiunge che tutto cio’ non costituisce un costo ma sarebbe bensì un investimento. Investimento che risulterebbe in meno costi di assicurazione e ricostruzione dopo il verificarsi di eventi estremi che danneggiano le coste, in una migliore e più efficace politica di pesca sostenibile (con meno sprechi in termini di pesce pescato e rigettato in mare morto perché non vendibile, e meno sussidi), meno disastri naturali, miglior protezione delle coste e molto altro. “Non é ancora troppo tardi, si puo’ invertire il trend” afferma Worm, “ma meno dell’1% degli oceani é effettivamente protetto al giorno d’oggi”. Lo studio é stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science (Worm, B. Science, Nov. 3, 2006; vol 314: pp 787-790. News release, SeaWeb. News release, American Association for the Advancement of Science).
E’ responsabilità di tutti noi fare qualcosa, di tutti i cittadini del mondo (perché di mondo ce n’é uno solo) per noi stessi, e per le generazioni future. Ma in particolare é responsabilità di tutti noi surfisti, proteggere cio’ che amiamo. Riuniamoci, attiviamoci, parliamo, informiamo, proteggiamo. Come? Si deve sempre cominciare dai comportameti personali: evitiamo di lasciare in giro rifiuti; facciamo la raccolta differenziata; raccogliamo i rifiuti lasciati dagli altri; educhiamo chi ci sta intorno; consumiamo meno e meglio e mangiamo pesce solamente proveniente dalla pesca sostenibile; se possiamo organizziamo o partecipiamo alle giornate di pulizia delle spiaggie (o di qualsiasi altro spazio necessiti pulizia perché l’85% di cio’ che finisce nei mari é prodotto sulla terra – per organizzarne uno o partecipare alla giornata Europea Clean Up Day http://www.ewwr.eu/en/take_part/lets-clean-up-europe). Ci sono molte organizzazioni attive in questo campo come Surfrider Foundation (www.surfrider.eu) che ha una sede di riferimento italiana (resp. Giorgia Bellugi email: oceaninitiatives3@surfrider.eu, skype: bureausfemed), o creiamone altre sul loro esempio o sull’esempio della Britannica Surfers Against Sewage, che é molto attiva nel campo della protezione marina (http://www.sas.org.uk/). In poche parole, agiamo, facciamolo subito e diamo l’esempio!
Sicuramente non possiamo eliminare i danni già provocati dall’incoscienza umana, ma cio’ che possiamo fare é mitigarne l’impatto negativo e, tramite l’educazione, l’esempio, possiamo far si’ che la prossima generazione contribuisca al cambiamento.
Dobbiamo contribuire a mantenere I nostri mari, le nostre onde e spiagge pulite e praticare le 4 R: Rifiutare, Riusare, Ridurre, Riciclare. Solo cosi’ potremmo contribuire al salvataggio di cio’ che ci é più caro: I nostri mari ed oceani, e quindi in ultima analisi, il nostro pianeta: perché di pianeta ce n’é uno solo!
Filippo Marino
filippomarino@gmail.com
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