Surfcorner.it – Si è aperta il 3 dicembre, per proseguire fino al 14, la XIII Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che vede riuniti governi, esperti, scienziati, organizzazioni umanitarie, businessmen a cui spetterà il compito di tracciare una tabella di marcia per l’adozione delle soluzioni più efficaci per combattere il surriscaldamento del pianeta, i cui effetti (vedasi Sidr, l’ultimo in ordine cronologico, il ciclone infernale che si è abbattuto nel vicino Bangladesh, sotto negli articoli correlati), già molti guai ha procurato in tutto il Sudest asiatico.
Visto il fallimento del Protocollo di Kyoto, se anche questa nuova opportunità si rendesse vana sarebbe compromessa ogni possibilità di governare le conseguenze del riscaldamento globale, che in questa parte del mondo ben conoscono e che saranno sempre più maggiori, poichè le politiche dell’adattamento al clima che cambia sembra abbiano la priorità solo nei paesi ricchi.
La conferenza di svolge a Bali, mecca del surf internazionale, vittima degli attacchi terroristici che tutti conosciamo e situata nell'”ambiente caldo”, l’Indonesia, dove negli ultimi anni abbiamo assistito a diversi avvenimenti naturali a partire dallo Tsunami del 2004.
Assieme alla grave situazione climatica dell’emisfero Nord, dove la velocità potrebbe essere così elevata tanto da vedere già dal 2030 aumentare di 3,5 gradi la temperatura in Groenlandia, e il rischio desertificazione nell’Europa del sud, anche questa parte del mondo, soggetta a frequenti inondazioni, corre rischi molto seri e più ravvicinati nel tempo, tant’è che la maggioranza degli abitanti di Bali ma anche di Java, da cui è separata da uno strettissimo canale, temono che un altro tsunami possa abbattersi sulle loro isole.
D’altronde, da quanto scaturito dall’ultimo rapporto dell’Ipcc presentato a Valencia, potrebbe essere ancora più veloce di quanto ipotizzato sinora l’impatto sull’ambiente innescato dai gas serra prodotti dall’uomo e il conseguenziale aumento della temperatura terrestre.
Sulla base di questo rapporto, i governi del mondo discuteranno a Bali se dare o no seguito al Trattato di Kyoto, in scadenza nel 2012, il quale prevede la riduzione del 5,2% delle emissioni di CO2 dei Paesi industrializzati (Cina e India escluse, e al quale non aderiscono gli Stati Uniti) o trovarne un degno successore, un nuovo Trattato, che possa sostituire con più efficacia quello obsoleto e fallimentare di Kyoto.
Ma potrebbero anche trovare una nuova strada per il controllo dei gas serra, basata sullo sviluppo di nuove fonti di energia, trasferibili anche in quei paesi dove il boom industriale è appena partito, vedi i due colossi asiatici Cina e India, che viaggiano ad una velocità impressionante, e che sono sul banco degli imputati per il forte contributo all’effetto serra. Entrambi, si oppongono a firmare trattati sui cambiamenti climatici, che potrebbero ostacolare la loro crescita economica. Ma se non firmano loro, neanche gli Stati Uniti lo faranno. Allora, senza la firma di Cina, India e Usa varrebbe forse qualcosa firmare un nuovo trattato?
La conferenza durerà 12 giorni. Saranno 190 le delegazioni, più di 10mila i funzionari al seguito. Tutti gli alberghi della costa sono affollati, soprattutto a Sanur, la zona più turistica a sud del capoluogo Denpasar, ma anche a Kuta, nella zona più a sud ovest dell’isola, famosa per la sua lunga spiaggia affollata dai surfisti.
L’Indonesia ha dispiegato circa 10mila poliziotti e 2000 soldati onde prevenire qualsiasi azione terroristica sull’isola. Tutte le strade sono state decorate con “umbul”, simboli di celebrazione e bandiere sventolanti al vento, con su scritto a caratteri cubitali “UN Climate Change Conference Bali”.
Secondo le Nazioni Unite un accordo dovrà essere trovato entro il 2009, in modo che il sistema entri in vigore in tempo per la scadenza del Protocollo di Kyoto nel 2012. Spetta dunque ai 192 Paesi e ai 10mila i delegati qui riuniti, che dovranno trovare una strategia comune per salvare la Terra. Il primo punto da perseguire è la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio e di altri 5 gas serra, e cercare di coinvolgere quei Paesi che non hanno aderito al Protocollo di Kyoto, come gli Usa e la Cina. L’Australia invece, il Paese con il tasso più elevato procapite di emissioni di gas serra nell’atmosfera, che non aveva mai partecipato a riunioni del genere da almeno 11 anni, con il nuovo primo ministro Kevin Rudd, ha aderito subito.
Ora spetta solo agli Stati Uniti, che versa nell’ambiente un terzo di tutti i gas serra, entrare a far parte del club dei virtuosi. Già c’è chi al suo interno, preme affinchè ciò avvenga in tempi rapidi, come Al Gore e Nancy Pelosi, l’attuale Presidente (Speaker) della Camera dei Rappresentanti, la quale rilasciando una dichiarazione da Washington, si è così espressa: “La conferenza di Bali offre all’amministrazione Bush un’altra opportunità di impegnarsi attivamente e in modo costruttivo con i leader del mondo per la realizzazione di un accordo internazionale che permetterà di ridurre i gas a effetto serra e di altre emissioni che causano il riscaldamento globale. Data la minaccia per il nostro futuro e dei nostri figli, non vi è alcuna scusa per il Presidente Bush di permettere che gli Stati Uniti rimangano l’unica grande potenza industriale del mondo, che si rifiuta di firmare un impegno internazionale per la lotta contro la crisi climatica…”.
Ci sono però anche Cina e India, considerati Paesi emergenti e quindi non soggetti al taglio di emissioni previste dal Protocollo di Kyoto, se non in misura minima, che purtroppo se ne disinteressano e questo fa pensare, ancora una volta, che non sarà facile trovare un accordo con loro.
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