Surfcorner 15 Years

La Prima Onda

Il racconto di Lorenzo Migliorini per il concorso Surfcorner 15 Years Summer Contest.

Diamo il benvenuto a Lorenzo Migliorini che ci ha raccontato il suo surf trip lungo la costa laziale per il Concorso Surfcorner 15 Years nella categoria “Racconta il tuo surf trip” (ricordiamo che è possibile partecipare contemporaneamente in entrambe le categorie del concorso e avere così più possibilità di vincere. Tutti i dettagli per partecipare e vincere un soggiorno alle Maldive per due persone, una tavola X Surfboards completamente accessoriata di accessori Ocean&Earth e set di pinne Futures, oltre a soggiorni a Santander e altro sono a fondo pagina).

Dopo averlo letto, se ti è piaciuto il suo racconto, clicca “MI PIACE” su questa pagina e condividilo per dargli la possibilità di accedere alla lista dei finalisti del concorso.

 

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LA PRIMA ONDA

“Un’esperienza completamente appagante”, così Robert Louis Stevenson ha definito il surf. Che sia una lunga onda oceanica o una piccola mareggiata estiva nel Mediterraneo, semplicemente sentire l’odore della schiuma del mare, stare seduti ad aspettare l’onda buona e quell’attimo di completezza che si apprezza nello scivolare sull’onda, rendono il surf una pratica unica.

Fare surf consente inoltre di viaggiare, visitare luoghi e conoscerli da un punto di vista del tutto particolare. Ma si ha bisogno di una casa per andare in giro per il mondo, e la casa per un surfista è lo spot dove uno ha cominciato, dove ritrova gli amici di sempre, del quale conosce correnti, secche, insomma dove ci si sente a proprio agio come a casa propria.

Nel mio caso questi spot si trovano nel Lazio Meridionale, una fascia di costa che da Sabaudia arriva a Sperlonga. La Riviera di Ulisse carica di miti, storia, contraddizioni e di onde.

 

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Da Nord lasciando la Pontina e dirigendosi verso il mare, tra gli eucalipti, le paludi e le campagne coltivate dopo la bonifica, si giunge al litorale di Sabaudia, un susseguirsi di dune tra laghi costieri e mare. L’area è un susseguirsi di beach break costituiti da secche più o meno consistenti in estate o inverno. Personalmente preferisco muovermi tra Torre Paola, il lido Le Streghe e il Lilandà. Sabaudia è una garanzia nel trovare onde, magari non sempre di eccezionale qualità, essendo un tratto di mare completamente aperto. Dà il meglio di sé in scaduta da Ovest o con lo Scirocco, che manda onde ma soffia da terra, proprio sotto Torre Paola. E’ stupendo fare surf al tramonto con il sole che filtra attraverso l’onda immergendoti in un mare di verdi brillanti.

Scendendo a Sud, oltre il promontorio del Circeo, ci sono gli spot del Porto di San Felice e del Carrubo. Il primo si trova in una baia formata dalle rocce del promontorio e da un braccio del porto. Quando rompe forma sia una destra che una sinistra. Io preferisco la destra che quasi da fuori baia, vicino alle rocce del monte, si srotola riformandosi nell’inside per una bella corsa. L’inverno il sole cala presto dietro la montagna e l’aria si fa fresca, ma l’atmosfera è calda.

Il Carrubo invece lavora con grosse mareggiate, protetto dal braccio del porto, regala delle lunghe onde regolari, ideali per il long o per il SUP.

 

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Andando oltre sulla Via Flacca c’è Sperlonga. Onde surfabili sia a ponente che a levante della Torre Truia che controlla il tratto di mare con il Circeo in lontananza. Quante albe passate in mare, surfando lunghe destre e qualche sinistra fino a riva, con l’acqua limpida e il paese vecchio che sonnecchia in alto. C’è un canale per uscire fuori con poca fatica entrando a ridosso degli scogli del porto.

Volendo si può proseguire verso sud dove si trovano gli spot di Gaeta: Serapo, Sant’Agostino e altre baie più nascoste. Ma mi sto allontanando da quello che chiamo casa.

Ho volutamente lasciato Terracina per ultima. Non perché sia lo spot migliore, ma semplicemente perché è quello dove ho cominciato, ormai più di venti anni fa, con una 6’4” della Gecko’s usando cera di candele invece della paraffina. Dove anni prima, con una tavoletta da windsurf riuscii a tagliare la mia prima onda e venni folgorato da quello che in inglese viene definito “surf stoke”.

 

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Era l’estate del 1991, i Nirvana avevano pubblicato Nevermind ma le canzoni al juke box erano sempre quelle del Festivalbar. Mi rifacevo con il walkman, un Sony grigio con delle cuffiette verdi che sparavano a volume assurdo.

Mi avevano regalato un windsurf da wave, molto anni ’80, con coda swallow tail e tre pinnette. Per planare aveva bisogno di un vento tesissimo, se non si entrava in planata affondava del tutto, e sinceramente ero abbastanza frustrato.

Ero innamorato di una ragazzina un po’ più piccola di me. Ma mi faceva disperare! Era bella, mi piaceva, ma non capivo se gli piacessi o no. A posteriori penso che i messaggi fossero chiari, ma peccavo abbastanza di inesperienza e comunque l’amore mi accecava. L’inverno le spedivo lunghe lettere a cui lei rispondeva con carte da lettera decorate. L’estate passava con lunghi baci sulla spiaggia libera, nascondendoci tra le ombre dei lampioni del lungomare o al chiaro di luna. Poi un bel giorno la vidi scendere in spiaggia con un altro, e non reagii affatto bene. Il ricordo è vago ma ho sofferto parecchio e la cosa ha lasciato il segno per qualche anno. Diciamo che avevo realizzato che con le ragazze era meglio divertirsi che impegnarsi, soprattutto per evitare di soffrire. Da allora in poi, e per molto tempo, passato l’idillio dei primi giorni, alle prime avvisaglie di abitudine, stabilità, richieste, limitazioni e rivelazione dei difetti, mollavo tutto, ogni volta assaporando una sana boccata di libertà.

 

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Ma quell’anno, proprio a fine estate, quando le storie di amore si concludono con qualche lacrima, abbraccio o promesse di rivedersi, per me è cominciata una storia di amore che non è ancora finita e che non finirà mai, una storia d’amore con il mare e le onde.

In acque generalmente calme e sicure come quelle di Terracina, l’arrivo delle onde era una festa. All’epoca sull’arrivo delle perturbazioni e quindi del mare mosso ci si poteva quasi rimettere l’orologio. La prima mareggiata entrava a fine luglio, leggera, di un giorno, come se l’estate volesse riposarsi per un attimo prima di dare il meglio di sé. La seconda a fine agosto, che come un sipario, metteva i titoli di coda all’estate catapultandoci tutti nel limpido settembre, con pochi superstiti in spiaggia e la scuola incombente. Tuttora, se posso, trascorro l’ultima settimana di agosto a Terracina. E’ un periodo magico, di giornate più corte, tramonti brevi e accesi e soprattutto di onde con l’acqua ancora calda.

La mareggiata di agosto durava più giorni, iniziava con il vento che girava a levante e la corrente da Gaeta andava verso il Circeo.  A mano a mano il mare si increspava, prima con leggeri riccioli di schiuma su una distesa grigio-verde, poi il cavo d’onda aumentava. Se il vento proseguiva la sua azione per tutta la notte, ci sarebbero stati i cavalloni l’indomani.

 

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Dormivo in una stanza di fronte al mare e mi addormentavo con nelle orecchie la musica ritmica dei frangenti, un bordone costante composto da mille note simili e profonde, come le voci di centinaia di monaci tibetani. Mi addormentavo felice, immerso in quel suono, già parte di quel tutto, in cui presto mi sarei lanciato.

Verso le cinque sollevavo la serranda per ammirare lo spettacolo nell’aurora brumosa e salmastra del mare, solcato da queste masse di acqua e assaporavo l’odore del sale, misto a quello della pioggia, e dell’erba bagnata. La giornata poteva essere ventosa e allora le onde sarebbero durate più giorni, se invece il vento girava a maestrale, il mare si sarebbe calmato. Allora nel giorno successivo ci sarebbe stato mare lungo e le paranze sarebbero riuscite per la pesca.

Quel giorno di fine agosto lo avevo passato in acqua e la sera mi aveva quasi sorpreso. Il vento era calato, la tavola nel pomeriggio giaceva a riva con la vela ancora attaccata. Il Circeo era tinto di rosa e sfumato nell’aerosol, mentre il sole lento scendeva a Ovest sulla pianura Pontina. Eravamo in spiaggia a chiacchierare e contemplare il mare, un po’ infreddoliti e consapevoli che anche quell’estate stava volgendo al termine.

 

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Mi sono alzato dicendo che mi sarei buttato un’ultima volta. Staccai la vela dalla tavola levando anche il piede dell’albero. Mi buttai e cominciai a prendere le onde a riva, le corse erano brevi e la pinnetta a contatto con il fondale frenava la tavola facendomi cadere. Vidi invece che alla secca si creavano delle belle pareti. Remai verso il largo, girandomi ogni tanto a osservare la riva: ormai in spiaggia non c’era quasi più nessuno, eravamo soli io e il mare.

Arrivato sulla line up, mi riposai un po’, poi cominciai a prendere le onde remando, ma ritrovandomi sempre a scivolare sulla schiuma. A un certo punto, seduto a cavalcioni della tavola vidi che stava arrivando una serie un po’ più grossa, allora mi posizionai un po’ più a largo per cercare di prenderle quando ancora non erano frante. Non scelsi la prima, mentre la bocca dello stomaco mi si era chiusa, e apprezzai da dietro lo svolgersi dell’onda e la sua fine, ma non ebbi tempo di assaporare appieno quella sensazione perché dietro ce ne era un’altra. Cominciai a remare e tutto avvenne in un attimo. L’onda mi prese e in qualche modo inspiegabile riuscii a mettere la tavola di traverso. Non percepii quindi il solito rumore di frangente ma una sensazione di sospensione, leggerezza e velocità. Stavo scivolando sulla faccia pulita dell’onda. In quel secondo e per quelli successivi non sentii più niente, né il rumore del mare, né quelli da riva. Ero faccia a faccia con il mare ed istintivamente distesi una mano immergendola in quella superficie liquida e fluida. Pensavo solo a restare in piedi e a prolungare quella sensazione fino a quando avessi resistito. Non c’era più nulla, non ero diverso da una molecola di quell’onda che mi trasportava. L’onda si fece più ripida e la tavola sfuggì da sotto i miei piedi, facendomi cadere e proseguendo la sua corsa, lasciandomi in balia della risacca. Nuotai verso la tavola per recuperarla. La mia testa era ancora rivolta a quei pochi secondi di massima consapevolezza in unione perfetta di corpo, mente e spirito fusi nell’onda. Non tornai fuori, anche se da subito il desiderio di ripetere l’esperienza era forte. Andai verso riva e feci una doccia godendomi il freddo dell’acqua come se fosse il risveglio da un sogno.

 

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Andai a casa raggiante e ancora tutto bagnato.

– Ho tagliato la mia prima onda – esclamai a mia madre.

– Sono contenta – rispose con un sorriso, vedendomi così contento.

Ma non aveva capito, non aveva capito che quella prima onda, quella massa d’acqua inconsapevole, venuta dal profondo del Tirreno a frangere proprio davanti a casa mia e che avrebbe finito lì la sua corsa, anche se io non l’avessi cavalcata, mi aveva cambiato la vita.

 

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Di onde ne ho prese tante da allora, ma ancora adesso, se posso e se le condizioni lo permettono, mi piace fare surf davanti casa. Anche se non è il posto migliore, è casa mia. Ho ricordi di mare con tanti amici: quelli della mia infanzia, quelli delle scorribande lungo la costa e dei viaggi sull’oceano, i miei fratelli minori ai quali ho trasmesso la passione e sono diventati tutti più forti e appassionati di me. Ho ricordi e vivo ancora la mia passione con mia moglie che mi ha seguito e mi segue ovunque pazientando e aspettando, alle volte con ansia che io rientri a riva nel sole e nella tempesta, con i miei figli che ho messo sulla tavola sin da piccoli.

Ma quella prima onda, è solo mia e, alle volte, la notte sogno me stesso adolescente su quella tavola davanti alla faccia dell’onda con la mano immersa in essa, fuso in quella meravigliosa manifestazione di energia.

 

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Un ringraziamento agli sponsor che hanno reso possibile questo concorso:

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