Il racconto di Davide Barbi per il concorso Surfcorner 15 Years Summer Contest.
Diamo il benvenuto a Davide Barbi che ci ha inviato il suo racconto per il Concorso Surfcorner 15 Years nella categoria “Racconta il tuo surf trip” (ricordiamo che è possibile partecipare contemporaneamente in entrambe le categorie del concorso e avere così più possibilità di vincere. Tutti i dettagli per partecipare e vincere un soggiorno alle Maldive per due persone, una tavola X Surfboards completamente accessoriata di accessori Ocean&Earth e set di pinne Futures, oltre a soggiorni a Santander e altro sono a fondo pagina).
Dopo averlo letto, se ti è piaciuto il suo racconto, clicca “MI PIACE” su questa pagina e condividilo per dargli la possibilità di accedere alla lista dei finalisti del concorso.
NON E’ UNA DISCIPLINA PER VECCHI…
Non è la storia di arials, big wave o paradisi segreti. È la storia di un uomo, un maestro di vita, di quelli che arrivano senza preavviso, da qualche parte in un angolino di Indonesia.
Erano quesi tre settimane che non intrattenevo rapporti con un occidentale, a parte qualche incrocio di sguardi ingrugniti in line-up.
Questa era l’anatomia del mio periodo di isolamento, complice l’umidissima -ma ondosissima- bassa stagione di Lembongan.
C’è qualcosa di magico, e delicatissimo, nel vivere con i ritmi solari, chiacchierando solo con te stesso e il mare, che poi alla fine non sai più a chi appartengono le idee che ti passano per la testa.
Nel patio, verso le dieci del mattino – dopo una lunga sessione di grasse sinistre srotolone – danzando sui miei nove piedi di gioia scucchiaiata – mi stavo apprestando ad avvolgermi nell’amaca, a leggere un altro ed un altro ancora dei libri che avevo raccolto durante un vagabondaggio durato più di un anno. Altro che kindle.
Un amico quadrupede spelacchiato al fianco, posacenere da 420, incenso, colpo d’occhio sui picchi pigri della baia e un gocciolare ipnotico, quasi continuo, in armonia con l’uggia che tutto faceva brillare di esclusivo.
Dal nulla, scatta una vecchia canzone di Bert Jansh, “Oh padre, dove potrai essere… viaggi sulla Terra come me? Quando passi per la tua strada, puoi sentire la gente piangere?…”
Bel pezzo, ma prima di identificarmici decido di ascoltare la pioggia. Non faccio in tempo a formulare il mio disappunto per il nuovo vicino di bungalow, che una voce roca e allegra incomincia a cantare, improvvisando fuori tempo, alzando la voce alla fine dei versi. Davvero irritante.
I tappi da orecchie che uso per meditare erano più distanti del mio limite di sopportazione, e faccio finta di nulla.
Sbircio, e vedo una tavola appoggiata alla ringhiera. Un singlefin più vecchio di me, largo come un SUP ma lungo un metro e mezzo, con uno pad marcio per quasi tutta la lunghezza.
Scatta un pezzo di Devendra (ancora al primo psichedelicissimo album), il volume si alza e compare un omone dai capelli grigi sotto un cappello di stoffe colorate, cadente sui lati, di quelli che si vedono nei video di Woodstock. Mi saluta con un sorriso.
Ricambio, non posso fare a meno di notare un milione di cicatrici su un corpo, una volta massiccio, ora sembrava la pergamena di un enciclopedia d’avventure.
Nel pomeriggio, nonostante la mia severa miopia, vedo il vecchio tritare il picco vicino a suon di off-the-lip ed eterni bottom-turn, inginocchiato sulla sua kneeboard. Legge l’onda come se fosse l’amante di una vita.
La sera, appena seduto, attacca bottone dal tavolo di fianco. Non c’era nessun altro. Prima di poter dare due risposte evasive e piantare il naso nel libro, vengo investito dalla sua gentilezza. Ma c’era di piu’, forse il brillío degli occhi; faccio domande asetttiche ma rimango ammaliato dell’innocenza con cui risponde “… si, surfo piu o meno da 50 anni.. certo, tutti i giorni mate!!! a parte quando ero “indaffarato” in Malesia o quando lavoravo sui perscherecci in alto mare… e quella volta, dopo il trapianto di fegato, i miei amici però mi coricavano su un paddle e mi spiangevano, come una zavorra, sulla line up, per godermi la scena…”
In pochi giorni anelo per il tempo che posso trascorrere ad ascoltarlo, aneddoti tipo quando negli anni ’70 viveva accampato nel deserto, davanti a un picco solitario, o quella volta in cui Michael Peterson (la leggenda) gli ha rubato la TV, nella sua casa di Kirra, o le massime stile “si, gli squali sono come gli alieni, ci sono ma è comodo non pensarci”.
La baia in questione è (o era) una zona di raccolta di alghe, forse la spirulina -articolo che tra i new-age è in voga quanto l’LSD a Goa-.
Gli isolani le raccolgono con la bassa marea, e delimitano i propri orticelli con dei paletti di legno. Sono quegli stessi paletti che, quando l’onda fa lo scavone, emergono come spire medievali affamate di carne umana, precisamente della ciccia di surfsti che mal leggono la parete tubante.
Una foto di zio Rod quando aveva una trentina d’anni
Un pomeriggio il mare si gonfia, e come sempre esco solo, questa volta padellando in ginocchio fino a quella destra tubante, la famigerata Laceration (che fino ad ora ho “conigliato”).
In breve? Troppa ambizione, o paura, o ingnoranza. Al primo tentativo spezzo in due la tavola e torno a nuoto, tra i paletti, con qualche graffietto sanguinolento.
Ormai lo chiamo Zio Rod: davanti al patio, sotto la tettoia dei nostri bungalow, si alza in piedi e mi vede arrivare con le pive nel sacco e un moncherino di tavola sotto braccio “Nipote (..Neph..), sembra che tu abbia una storia da raccontare…”.
Con un calmo sorriso mi ricorda che le prove sono li per noi perchè siamo in grado di superarle.
Dopo un pomeriggio trascorso ad insegnargli a usare Facebook -di cui adesso è infognato all’ultimo stadio-, andiamo alla ricerca di una tavola.
Insiste, dice che la cura e’ ancora nelle mani della “vecchia scuola, ma i long son troppo lenti”. Io non sono mai salito su uno di quei micro-thruster indonesiani, e destino vuole che in un angolino troviamo un singlefin ingiallito, tappezzato di ding, qualcosa come un pintail 6.6.
“Questa e’ la cura, Neph. Usciamo a provarla… Adesso, ti va?”
Uncle Rod intubato come se non ci fosse un domani
Ricordo l’ultima sessione, con Uncle Rod. Non solo per i mille tubi da cui schizzava fuori come un lampo, in ginocchio sulla sua saponetta.
Per il suo entusiasmo. E per avermi insegnato che spezzata una tavola, o le rotule, la schiena e il fegato -come nel suo caso-, l’importante è credere nel prossimo passo.
C’è sempre una soluzione. Dopo quasi dieci anni, mi sento con Uncle Rod ogni settimana, e ancora prendo le onde con un singlefin.
Uncle Rod nel suo home spot in Australia
Uncle Rod davanti casa in Australia
Uncle Rod dopo il trapianto di fegato.
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CONCORSO SURFCORNER 15 YEARS
Vinci un soggiorno alle Maldive (per 2 persone), una nuova X Surfboards fiammante modello Capsule edizione speciale 15 Years accessoriata di accessori Ocean&Earth e set di pinne FUTURES, soggiorni a Santander e tanti altri premi.
Scopri qui tutti i dettagli per partecipare al concorso:
https://www.surfcorner.it/2015/06/23/surfcorner-15-years-summer-contest/
#Surfcorner15Years
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SURFCORNER 15 YEARS
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Un ringraziamento agli sponsor che hanno reso possibile questo concorso:
www.surfmaldive.com
www.xsurfboards.it
www.counterstream.com
www.surftolive.com
www.surfcornerstore.it
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